IO E LA FELICITA’: istante o percorso?

In questo secondo incontro del ciclo di pratica filosofica con piacere ci siamo ritrovati nella bella biblioteca “A. Tiraboschi” di Bergamo. Qualcuno mancava, altri  partecipanti si sono aggiunti, ma anche questa volta si è creata una gioviale comunità dove ognuno era presente con “corpo e mente”, secondo lo spirito che anima  questi incontri di riflessione  condivisa. Il tema era di quelli che toccano noi tutti e che la filosofia ha indagato sin dall’antichità: la felicità. Già, ma cos’è la felicità?

Siamo partiti dalla lettura della nota favola la cicala e la formica, proposta nella versione contemporanea di M. Hollis. Lo stimolo è apparso appropriato  e fecondo suscitando le seguenti domande:

  • Com’è possibile condurre un’esistenza felice e allo stesso tempo dura?  (gruppo sorriso)
  • La felicità è davvero un valore razionale?  (gruppo trio armonico)
  • Più si è razionale e più si è felici?  (gruppo le perfide)
  • L’avere delle certezze ripaga in felicità?   (gruppo leggerezza)
  • La gioia è felicità?    (gruppo focale)
  • La felicità è quel mentre dove c’è riconoscenza, soddisfazione di un desiderio e qualcosa si fa proprio?  (gruppo il solitario)
  • Per ovviare ai due eccessi come è possibile trovare un equilibrio?  (gruppo empatici generosi)

La comunità si è trovata in accordo su una prima constatazione, ovvero che la felicità è data quando si è raggiunto uno scopo. Diversi sono poi i modi per essere felici: fedeltà a sé stessi, realizzazione di sé, assecondare la propria natura, equilibrio diverso per ogni persona, equilibrio non solo come coerenza  ma anche in confronto degli altri, condizione mentale, attimo che arriva senza razionalità, riconoscenza, possesso di cose o di affetti…

Il dialogo è proseguito nell’interrogativo, sempre rimbalzato, tra felicità come attimo, istante fuori dal tempo o felicità come percorso e ricerca. Per alcuni queste due posizioni non sono in contrasto, per altri la felicità è legata al senso e al valore che si da alla propria vita, ma anche in questo caso il senso della vita fa parte di un progetto o è casuale? Conta più il reale  del piacere vissuto o l’ideale da perseguire, magari con fatica?

Insomma c’è una terza via tra la gioia della cicala e la vita dura della formica? Come sempre, il nostro intento non è quello di dare LA RISPOSTA, ma quello di aprire orizzonti e prospettive diverse. E la filosofia in questo ci aiuta, a partire già dall’etimologia felicitas (da felix-icis): abbondanza, ricchezza, prosperità in riferimento soprattutto a beni o eventi esteriori. In greco eudemonia (da eu daimon) ovvero buon demon, cioè buona sorte per intendere la vita beata relativa ad uno stato interiore, pone la felicità quale fine ultimo dell’agire umano.

Esistono dunque varie accezioni di felicità e una distinzione ulteriore la possiamo cogliere tra una concezione attiva e una passiva di felicità. Nel primo caso sono artefice della mia felicità attraverso il perseguimento di un obiettivo o come calcolo (filosofie utilitaristiche), attraverso l’armonia tra la parte desiderativa, impulsiva e  razionale dell’uomo  (secondo la concezione dell’anima platonica ) o pensata in relazione al modo di vivere virtuoso (secondo la concezione aristotelica di giusta misura e realizzazione di sé). Nel secondo caso si fa riferimento alla tranquillità d’animo, alla mancanza di dolore, al vivere in accordo con la natura (stoicismo), all’assenza di turbamento e al discernimento dei piaceri (Epicuro).

Forse quello che ci vogliono dire i grandi filosofi è che se intendiamo la felicità come attimo, cade l’esperienza del tempo, e dunque questa gioia non può essere pretesa, è data. Se invece intendiamo la felicità come un crescere delle nostre capacità, tutti i momenti devono essere vissuti come funzionali alla realizzazione di sé.

Oppure possiamo pensarla come Paul Watzlawick che in Istruzioni per rendersi infelici scrive:È giunta l’ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità.”

Questa voce è stata pubblicata in Laboratorio di pratica filosofica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.